La “strategia del consenso”

La “strategia del consenso”

Nelle carte della procura sull’indagine di associazione sovversiva nei nostri confronti si afferma che avremmo messo in opera una presunta “strategia del consenso”.

“Consenso” è una bellissima parola, la cui etimologia, derivata dal latino vuol dire “sentire insieme”. Cioè si tratta di un intreccio di sentimenti collettivi e condivisi. Un concetto che in questi anni i movimenti transfemministi globali hanno riportato alla luce dando nuovi spunti di riflessione.

Il consenso sta alla base di tutto ciò che si può definire politica.

Il problema è come e su cosa si costruisce il consenso. Nel nostro paese negli ultimi decenni abbiamo visto politicanti di ogni tipo sfruttare la paura delle persone per instillare la guerra tra poveri. Abbiamo visto criminalizzare i giovani, i migranti, le donne e le soggettività non conformi, i poveri in ogni maniera possibile, per raccogliere qualche oncia di consenso elettorale, con effetti devastanti sulla vita di centinaia di migliaia di persone.

In questo caso il consenso viene costruito dall’alto, imponendo una visione del mondo falsificata e oscurantista. Una vera e propria, qui sì, “Strategia del consenso” basata sul mettere nella condizione di non poter dire no, di pensare di non avere alternative se non quella di scaricare sul basso il costo delle scellerate scelte politiche subìte.

Il problema è come e su cosa si costruisce il consenso. Nel nostro paese negli ultimi decenni abbiamo visto politicanti di ogni tipo sfruttare la paura delle persone per instillare la guerra tra poveri. Abbiamo visto criminalizzare i giovani, i migranti, le donne e le soggettività non conformi, i poveri in ogni maniera possibile, per raccogliere qualche oncia di consenso elettorale, con effetti devastanti sulla vita di centinaia di migliaia di persone.

In questo caso il consenso viene costruito dall’alto, imponendo una visione del mondo falsificata e oscurantista. Una vera e propria, qui sì, “Strategia del consenso” basata sul mettere nella condizione di non poter dire no, di pensare di non avere alternative se non quella di scaricare sul basso il costo delle scellerate scelte politiche subìte.A questa idea di consenso noi preferiamo quella originale, cioè il “sentire insieme”. Quello che traspare dalle carte della procura è che noi avremmo in qualche modo plagiato intellettuali, artisti, figure pubbliche, movimenti e persone comuni e “soggetti fragili” al fine di attirare la loro solidarietà o la loro adesione. Una ricostruzione insultante che disegna le persone in questione come incapaci di pensare autonomamente.

La verità è che il consenso di cui parliamo è un continuo processo di scambio reciproco, una postura sempre in via di rinnovamento che ci stiamo costruendo in anni di confronti schietti, dibattiti, iniziative costruite collettivamente, discussioni sul futuro che vorremmo e su cosa non ci piace di questo presente. Appunto, “sentire insieme” delle necessità, dei bisogni e costruire insieme dei percorsi perché divengano realtà.

Che lo si accetti o no, questo sentire insieme rappresenta un pezzo di questa città che non si vuole arrendere alla miseria del presente.

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