Dana Lauriola: «Contro Askatasuna teoremi inconsistenti. Non ci faremo mettere con le spalle al muro»

Dana Lauriola: «Contro Askatasuna teoremi inconsistenti. Non ci faremo mettere con le spalle al muro»

Riprendiamo il seguente contributo di Dinamopress.

Contro lo storico centro sociale torinese è in corso una grave offensiva giudiziaria. Il prossimo 29 luglio il giudice dell’udienza preliminare deciderà sull’eventuale rinvio a giudizio per associazione sovversiva, come ipotizzato dalla procura, o associazione a delinquere, come riformulato dal tribunale del riesame. Quasi certo il processo per le 22 persone indagate. Dana Lauriola, militante di Askatasuna e del movimento No Tav, ripercorre le tappe della vicenda e dell’anomalia torinese rispetto alla persecuzione giudiziaria dei movimenti sociali.

22 militanti di Askatasuna sono indagati dalla procura di Torino per associazione sovversiva, mentre il tribunale del riesame ha riformulato l’accusa in associazione per delinquere contro 11 di loro. Su che basi?

Il procedimento vedeva originariamente 91 indagati che ora sono stati ridotti a 22 in sede di conclusione delle indagini preliminari. Le posizioni degli altri 69 sono dunque state stralciate. L’ipotesi di associazione a carattere sovversivo è stata negata dal tribunale del riesame che però, consapevole dell’inconsistenza di tutto il teorema, ha introdotto una differenziazione dicendo che a costituire un’associazione per delinquere non è l’intero centro sociale ma 11 persone appartenenti ad Askatasuna che compirebbero dei delitti soprattutto in Val di Susa. A sei di loro sono state date misure cautelari, due in carcere e quattro ai domiciliari. Alcune rimangono sospese in attesa della cassazione. L’ipotesi dell’associazione a delinquere non è ben chiara perché, tra l’altro, confligge con le migliaia di pagine degli inquirenti che mettono sotto accusa tutta l’attività politica dell’Askatasuna. 

Al momento in carcere per questa inchiesta c’è solo Giorgio Rossetto. Come sta e fino a quando potrebbe rimanere dietro le sbarre?

Giorgio è stato arrestato a marzo, quando è stata resa nota l’ipotesi di associazione sovversiva e realizzata la prima operazione. Sta bene, è una persona forte e determinata. Sta portando avanti all’interno del carcere una serie di battaglie e vertenze su questioni inerenti alla vita degli altri detenuti. Per esempio sulle condizioni igienico-sanitarie o sul reintegro di alcuni agenti indagati per tortura, sospesi dal Dap, ma poi reintegrati dal Tar. Dunque agenti denunciati dagli stessi detenuti che tornano in quei luoghi a esercitare il loro ruolo e potere. Non sappiamo fino a quando Giorgio dovrà restare in carcere. Non appena sarà opportuno si prepareranno le istanze, certo è che ci sono sempre molte pressioni su ogni singolo militante di questa storia e ancor di più su Giorgio che viene descritto come il capo dell’associazione, prima quella sovversiva e poi quella a delinquere

A Torino sono già a processo per associazione sovversiva i compagni anarchici legati all’ex Asilo occupato. Come mai nel capoluogo piemontese c’è una simile concentrazione di inchieste con capi di accusa così pesanti?

Questi fatti vanno ricollegati ad alcune situazioni particolari. Intanto agli attori politici in gioco. Una procura mobilitata da prima del 2011 con dei pool specifici di lotta al movimento No Tav e di conseguenza a una serie di movimenti antagonisti della città. Un capo della Digos che in ogni città in cui va scorge associazioni a delinquere e pericolosi criminali da sottoporre a sorveglianza speciale. È successo anche a Catania dove per compagne e compagni che si occupavano di lotte sul territorio era stata chiesta la sorveglianza speciale, con un teorema poi respinto fermamente dal tribunale che ha stabilito che quella misura serve per i mafiosi non per chi pratica il conflitto sociale. Questi attori hanno una delega molto ampia da parte della politica. Per una serie di circostanze, prima tra tutte la centralità di Torino in decenni di lotta che hanno visto il movimento No Tav creare dinamiche partecipate, radicate, di massa, irriducibili e conflittuali. Ci sono diversi elementi che si combinano: chi cerca di far carriera sventolando fantasmi del passato, chi odia i movimenti, chi ha una collocazione politica ben precisa. È notizia di questi giorni la nomina di Rinaudo, ex pm con l’elmetto ora in pensione, a tecnico dell’Osservatorio, cioè quello che dovrebbe essere il tavolo di concertazione tra enti della valle e città di Torino sulla costruzione del Tav. Tavolo che i sindaci hanno sempre boicottato. Questa nomina dice tutto sulla commistione di poteri forti che come No Tav abbiamo sempre denunciato.

Il 19 luglio sono stati arrestati per associazione a delinquere sindacalisti Usb e Si Cobas. C’è un collegamento con la vostra inchiesta in termini di clima politico del paese?

Sicuramente si collega alla nostra inchiesta non solo per la coincidenza temporale, ma soprattutto per il clima che si respira nel paese. La politica in primis e poi chi detiene il potere giudiziario provano a incasellare in una cornice criminalizzante tutto ciò che spinge per il cambiamento. Non solo il conflitto e le istanze che vengono dal basso non sono viste come motore di trasformazione e stimolo per la società, come dovrebbe essere in democrazia, ma azioni di protesta sono interpretate come atti criminali. La valenza politica viene volontariamente cancellata. Questa cosa è molto preoccupante. Durante il nostro processo abbiamo sentito dire che la lotta No Tav è sovversiva perché tenta di modificare, rallentare, influenzare una decisione presa dal parlamento rispetto alla necessità della grande opera. Perché ogni azione politica che chiede un cambiamento e fa pressione sui decisori è vista come un atto eversivo e non come un diritto dei cittadini di autodeterminarsi e avere voce in capitolo. Un simile concetto di democrazia e partecipazione è molto preoccupante. In quest’ottica anche nell’Onda, per esempio, ci sarebbero potuti trovare gli estremi di disegni criminosi molto gravi, dal momento che genitori e studenti contrari alla riforma Gelimini scendevano in piazza per modificare le decisioni del governo. L’attacco ai sindacati che sui luoghi di lavoro portano maggior conflitto e quello contro di noi va visto come il tentativo di azzerare ogni dissenso che non sia compatibile con il loro sistema. 

Quali sono le prossime tappe della vicenda, sia in termini giudiziari che di difesa politica?

L’udienza preliminare è fissata il 29 luglio. Lì si deciderà l’eventuale rinvio a giudizio. Ma siamo sicuri che il processo si svolgerà. In autunno, poi, la cassazione si esprimerà sulle misure cautelari. Se saranno confermate diventeranno esecutive. Per quanto riguarda la difesa politica dobbiamo rilanciare e attaccare, chiamando le cose con il loro nome per indicare le responsabilità politiche di questa operazione, che vorrebbe anche sgomberare Askatasuna e altri spazi occupati. Stiamo spiegando alla gente ciò che sta succedendo, contemporaneamente continueremo a fare quello che abbiamo sempre fatto. Ci stiamo preparando al Climate Camp, che è tra pochissimi giorni, poi ci sarà il Festival dell’alta felicità e altri campeggi di lotta, in attesa di un autunno che richiederà un impegno e una presa di posizione da parte di tutti a difesa delle lotte nel paese. Da parte nostra continueremo con orgoglio con il nostro modo di fare politica. Non ci faremo mettere con le spalle al muro.

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