Associazione a Resistere

“L’Askatasuna è un’associazione sovversiva con l’intento di sovvertire lo stato attraverso azioni violente”

No, correggiamo ancora: “Non tutta l’Askatasuna è il problema, sono 69 appartenenti ad Askatasuna l’associazione sovversiva”

No, correggiamo: “L’Askatasuna è un’associazione a delinquere per finalità delinquenziali che usa la politica per commettere reati”

No, correggiamo ancora: “l’associazione a delinquere è formata da 11 persone che fanno riferimento ad Askatasuna”

Infine: in ventotto andranno a processo di cui 16 con l’accusa di associazione a delinquere e l’aggravante tragicomica di “scorreria in armi per le campagne e le pubbliche vie”.

L’estrema sintesi giudiziaria di questa triste (il termine corretto sarebbe ridicolo ma siccome piovono mesi e anni di detenzione non ci sentiamo di fare troppa ironia) vicenda è questa ma la sua origine è molto più complessa e sostanziosa del suo finale ancora da scrivere in Cassazione.

Quella nei nostri confronti è una vera e propria crociata che ha il suo inizio nel 2009 con indagini della solerte D.I.G.O.S. (Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali) che ha fatto di tutto per provare a rispecchiare il nome per esteso del suo corpo militare.

Investigazioni e operazioni speciali che hanno prodotto un’indagine lunga 13 anni e diventata operativa in procura dal 2019. Mentre il mondo cambiava per la pandemia, gli agenti della digos posizionavano microspie, ascoltavano conversazioni telefoniche e ambientali, pedinavano e annotavano qualsiasi movimento di 70 ragazzi e ragazze.

Era l’inizio dell’ “Operazione Sovrano” che porterà dopo centinaia di intercettazioni, migliaia di pagine, centinaia di agenti e decine di migliaia di euro spesi in cimici e software, sui tavoli del tribunale un dossier equiparabile a 3 edizioni delle vecchie enciclopedie cartacee con l’intento di arrestare tutto e tutti per il reato più amato da sempre da parte della polizia politica: Associazione Sovversiva.

Il risultato è il fiore all’occhiello del dirigente della digos Carlo Ambra, in carica dal 2017, che nella sua carriera ha visto più associazioni sovversive lui di nessun altro: almeno una a Catania e ben due a Torino in poco tempo.

Un paladino contro la sovversione!

Un premio per lo sforzo fatto è stato subito elargito dalla Procura che ha trovato nell’ultima pm con l’elmetto, la PM Pedrotta l’avallo totale a qualsiasi teoria, l’aggiunta di astio personale e l’elaborazione di quanto ipotizzato in reati del codice penale.

Del resto la pm non vedeva l’ora di dare un “colpo finale” a giovani e meno giovani che ha denigrato e sminuite più volte nei tanti processi dove li ha accusati. Come dimenticare quella volta in cui consigliò agli imputati del maxiprocesso notav di darsi fuoco come i monaci tibetani invece di resistere alle cariche della polizia in Valle di Susa?

Per dimostrare la “tesi finale” Procura e Digos hanno pensato bene di produrre più materiale possibile, inserendo la qualsiasi per dimostrare un qualcosa che altrimenti, anche con le prove stesse presentate, sarebbe difficile da dimostrare, proprio come è avvenuto in prima istanza.

Si perché l’associazione sovversiva è stata sonoramente bocciata dal primo Gip che l’ha presa in esame, e da lì in poi è iniziata una rincorsa che ha portato almeno ad ottenere il risultato minimo: una bella associazione a delinquere, ma non di tutti, perché non è giusto criminalizzare il dissenso, di una decina di persone più delinquenti delle altre 60 prese in esame nel primo giro.

Un contentino insomma, sempre sulla pelle nostra ci mancherebbe, che al momento lascia delusi tutti.

L’Operazione Sovrano

Entrare minuziosamente nel merito dell’operazione richiederebbe pagine e pagine di analisi che tralasciamo volentieri a chi legge, ma che invece abbiamo letto con attenzione.

Le quasi 5000 pagine (2000 solo di annotazioni finali della Digos) sono intrise di odio e disprezzo nei confronti delle persone intercettate, dove con balzi lessicali e semantici, si tenta di costruire personalità e “ruoli” nell’organizzazione, estrapolando ogni frase riportata da concetti e contesti.

Si intercettano persone nell’intimità di casa e al telefono riportando fedelmente qualsiasi frase faccia comodo alla costruzione del mostro singolo e collettivo.

La ricostruzione dell’indagine si apre con il solito spauracchio degli anni 70’ e la lotta armata, che è sempre utile per ogni indagine sull’antagonismo, e pur di farci entrare qualcosa viene preso come documento dimostrante un articolo pubblicato sul portale Infoaut, nel contesto di una rubrica “storia di classe” che pubblica fatti e documento storici (anche integrali) come una vera e propria cronologia dei movimenti sociali italiani e internazionali.

Ad essere preso in esame come se fosse scritto dagli indagati è un documento del 76’ tratto da Rosso, una rivista di movimento dell’ambito dell’Autonomia Operaia dal titolo “Dall’area dell’autonomia operaia e proletaria al movimento dell’autonomia operaia”, che viene presentato come se fosse il programma politico “dell’Associazione”

Del resto Digos, Procura e giudici si scandalizzano di come “molti degli odierni indagati sono stati captati nel corso di dialoghi a discutere di “rivoluzione” (dagli atti processuali)

Quindi confutando termini come rivoluzione o autonomia con interviste pubbliche rilasciate da alcuni noi sui canali online, ecco fatto il richiamo utile a tutte le cause.

Per avvalorare ancora di più la tesi poi vengono intercettati/e compagni/e e compagne che discutono della storia dei movimenti, delle lotte operaie, dei movimenti sociali internazionali per citare qualche frase utile al disegno, così magari si potrebbe anche indagare Che Guevara

Non solo disprezzo e odio nelle trascrizioni ma tanta tanta ignoranza (e ancora disprezzo) nella storia e nel presente dei movimenti sociali.

Ogni teoria fantasiosa della polizia politica, viene avallata da qualche frase trovata qua e là in migliaia di intercettazioni telefoniche, e poi fatte proprie dalla Pm Pedrotta che vista l’indagine, riesce persino a far passare degli spacciatori come vittime, e “quelli dell’Askatasuna” come carnefici.

Si ribaltano i ruoli che la tanto acclarata legalità persegue quando si tratta di mirare contro di noi.

Occupazioni descritte come racket

Da quasi 10 anni difendiamo persone e nuclei familiari dagli sfratti esecutivi, dove nella maggioranza dei casi ci troviamo di fronte situazioni d’ingiustizia e umiliazione che gridano rabbia.

Abbiamo difeso chiunque da questa condizione e la maggioranza delle volte abbiamo dovuto fronteggiare le forze dell’ordine schierate a difesa degli interessi di qualche palazzinaro o di qualche pappone che s’ingrassa sulle spalle della povera gente.

Sfratti a sorpresa, picchetti dalle 6 del mattino e la sofferenza di chi sta per perdere tutto sulle nostre spalle, mentre quelle dello Stato ce le siamo sempre trovate di fronte con caschi e manganelli.

Anni fa abbiamo deciso di dare una mano ad un gruppo di migranti ed aiutarli a costruirsi una nuova opportunità di vita: da qui è nato lo spazio popolare Neruda.

Una forma di co-abitazione sociale dove vige l’autogestione e il rispetto tra abitanti.

Ora negli atti molte pagine sono dedicate ad un fatto marginale successo tempo fa, ma la questura non ha trovato di meglio che utilizzarlo per costruire un teorema intorno ad alcuni compagni e compagne che fanno parte del collettivo, additandoli con il termine estorsori.

Ipotizzando come se riscuotessero l’affitto dagli occupanti, e se ne servissero per arricchirsi. Un’infamia che non meriterebbe commento se non fosse che per questa ennesima boutade, ci sono agli arresti diverse compagne e compagni e che sia stata usata per costruire un castello accusatorio che meritava quest’ennesima ciliegina sulla torta.

In aggiunta la procura, anche in questo caso, trova sempre più veritiere e degne di nota, le testimonianze fumose di qualche personaggio, rispetto a testimonianze fornite tramite contro-indagini difensive da parte dei nostri avvocati.

Il controllo dell’informazione

Per non farsi mancare nulla vi è anche un capitolo articolato dove dimostrerebbe che l’associazione (sovversiva o a delinquere?) ha il potere di dirottare l’informazione mainstream dalla propria. Viene infatti citato un caso dove dopo aver pubblicato veline e video forniti dalla questura alle redazioni dei giornali, in seguito all’allontamento di alcuni spacciatori dal quartiere (descritto come raid punitivo ci mancherebbe) alcuni di noi hanno chiesto il diritto di replica, che viene sempre invocato da tutti ma che per noi evidentemente non deve esistere.

Il culmine viene raggiunto quando il giornalista viene chiamato a testimoniare in fase difensiva prima dell’udienza del riesame, e quando la sua testimonianza viene fornita alla corte, la PM Pedrotta ha il coraggio di chiedere “come fosse stata estorta”.

Intercettazioni

L’intera inchiesta si basa esclusivamente su una quantità intercettazioni (ambientali, telefoniche) imbarazzanti: oltre 40 utenze telefoniche, varie stanze delle abitazioni di alcuni di noi, in carcere (nel momento che Giorgio e Mattia erano detenuti) e persino su una carrozza di un treno che ospitava due compagne che andavano ad un dibattito fuori regione.

Una quantità di materiale inverosimile ascoltato ed elaborato a piacimento dagli agenti della Digos con il solo intento di rafforzare le tesi già elaborate in partenza.

Perché in questa inchiesta, si vede proprio questo: Digos e Procura sono partiti dal reato di associazione sovversiva e hanno fatto di tutto per sostanziarlo.

Infatti, le intercettazioni vengono utilizzate a piacimento a costo di estrapolarle da qualsiasi contesto, basta la frase giusta o la parola giusta per costruire un capitolo dell’inchiesta.

Di contraltare però se il primo Gip ha bocciato l’impianto accusatorio, è palese di come tutto sia spinto al limite per dimostrare una tesi tanto cara a digos e procura, ma tanto debole davanti al Gip che evidentemente non se l’è sentita di partecipare al gioco in atto.

Il contenuto delle intercettazioni è di varia natura e la privacy di molti e molte di noi, viene violata per interessi veramente sconci.

Discorsi carpiti dal buco della serratura che si trasformano in capi d’accusa senza avere mai contesto: una battuta diventa una verità, una considerazione personale un programma politico.

Siamo sicuri che se intercettassero per due anni chiunque in casa propria potrebbe fornire lo stesso o più materiale interessante per gli inquirenti di quello che hanno prodotto su di noi.

Ma come ribadito prima è con questo strumento ed una sua elaborazione faziosa che vengono costruite le “figure” dell’associazione o i “ruoli” nella stessa, chiaramente tutte fonti di reato.

Giorgio, il nostro compagno tutt’ora in carcere in un contesto preventivo ed ingiusto, ad esempio viene indicato come “sovrano” dell’associazione tutto grazie ad alcune battute e discussioni tra alcuni di noi.

Un altro compagno che gli dà ragione in una discussione diventa il braccio destro, una compagna che condivide ragionamenti collettivi ne diventa portavoce.

Lasciamo perdere poi l’analisi di fatti di cronaca che capitano o aspirazioni che, come è lecito, un giovane possa avere, tra cui quella di cambiare il mondo in cui viviamo perché giudicato ingiusto e discriminatorio, diventano programmi politici o delineano personalità.

Tanto ascoltare, tanto trascrivere per fatti e atti pubblici, come tutte le nostre attività, e persino come tutte le nostre riunioni, che sono aperte e indicate con luogo e orario, e che persino alcune sono state persino già giudicate dai tribunali (calcando la mano, ci preme sottolinearlo)

Indagine patrimoniale

Nel disegno costruito ad hoc non è mancata un’accurata indagine patrimoniale su di noi e sul centro sociale indagando su ogni conto in banca, conto corrente, poste pay in possesso di chiunque.

Non solo: numerose visite sono state fatte dagli agenti della digos nei posti di lavoro di tanti di noi, generando le difficoltà che chiunque può immaginare per un lavoratore o una lavoratrice.

Oltretutto la discrezione è sempre stata messa da parte da via Grattoni perché l’intento non troppo celato di questa vicenda è quello di colpire anche personalmente qualsiasi compagno e compagna dell’Askatasuna.

È stato fatto un calcolo delle birre e delle bibite vendute alle nostre serate, un’indagine sul contributo chiesto alla porta, una previsione finanziaria con i prezzi esposti al bar del centro. E anche questo non è servito a dimostrare un bel nulla! Ma consigliamo agli agenti e a chi per loro di provare a fare meglio i conti e di iniziare ad uscire dall’ignoranza che li connota e capire quante cose facciamo durante un anno solare con ben pochi budget.

Lo diciamo anche al sindaco Lo Russo, che di recente ha dichiarato “inquietanti i risultati di quest’indagine” di leggere meglio e capire come si possa fare politica dal basso senza avere finanziamenti da nessuno, soprattutto dallo stato come nel caso del suo partito, con giovani che si impegnano volontariamente mettendo tempo e sapere a disposizione di tutti.

Ci piacerebbe cogliere l’occasione per vedere i bilanci del PD di Torino, e dimostrare come per alcuni la politica senza finanziamenti non si possa neanche immaginare, e noi (come altri) sovversivi e delinquenti, costruiamo decine di iniziative di ogni genere con il solo autofinanziamento.

I fatti contestati

Negli ultimi anni c’è da dire che quasi ogni iniziativa diventa reato per la teoria degli inquirenti e quindi nella prima versione ci venivano contestati 112 reati (di cui 106 per iniziative notav).

Dopo la bocciatura dell’inchiesta e la riformulazione ne rimangono 72 (di cui 62 per iniziative notav)

Siccome è da tempo che va avanti un’inquietante crociata giudiziaria non solo nei nostri confronti, ma nei confronti di chiunque osa dissentire, la maggior parte di quei reati è in giudizio proprio nei tribunali dove viaggiano i faldoni dell’inchiesta. Molti sono stati giudicati e altri sono in corso di giudizio.

Inoltre alcuni di noi stanno persino scontando condanne legate a quei fatti, quindi l’aspetto associativo ha solo l’intento di costruire un qualcosa di più “alto” nella scala giudiziaria, per affondare un colpo dirompente verso di noi.

Obiettivo NOTAV

In questi anni abbiamo visto tanti fare carriera sulla nostra pelle e quella della Valle di Susa, ma le categorie che più vi hanno beneficiato sono senza dubbio poliziotti e magistrati (giornalisti e politici ne hanno guadagnato per bene) che hanno ricevuto straordinari, promozioni e trasferimenti.

La nostra realtà politica è sempre stata parte del movimento notav, mettendo a disposizione saperi ed energie per continuare la marcia di questo movimento trentennale.

Molte delle nostre energie sono state dedicate alla Valle di Susa e siamo estremamente soddisfatti di averlo fatto e di non vedere ancora oggi un treno sfrecciare né a Chiomonte né da nessun’altra parte di quel progetto.

Molti di noi si sono spesi in questa lotta perché lo merita, dando molto a volte tutto.

Ed è per questo che leggiamo chiaramente nella lotta Notav uno degli obiettivi di questa inchiesta: se il movimento è già colpito duramente da una repressione feroce, il mettere fuori gioco una delle sue fonti di energia, aiuterebbe la controparte a ottenere più risultati in un colpo solo.

La mano è una specie di All In diretta a sconfiggere le resistenze sociali e politiche in atto. Un dato di debolezza che dimostra come politicamente né una realtà sociale come la nostra nè un movimento popolare come quello notav possano essere sconfitti dalla politica, che non ha ragioni e temi per confrontarsi, ma solo militarmente.

A questo punto ci permettiamo di aggiungere un giudizio che andrà analizzato in altri momenti, di come il panorama politico non istituzionale italiano sia ai minimi storici per motivazioni tanto oggettive che soggettive e di come alcune realtà politiche e sindacali si siano sobbarcate il peso del conflitto sociale in questo paese.

La Digos senza decenza notificare gli atti persino sul letto d’ospedale

Ci teniamo a sottolineare un fatto avvenuto che dimostra come la crociata nei nostri confronti non abbia limiti, né morali, né di minima decenza.

Agenti della DIGOS (Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali) si sono recati in ospedale, nel reparto di cardiologia, dove un nostro compagno era ricoverato in terapia intensiva a seguito di un infarto, per notificare uno degli atti connessi questa indagine.

Un atto che poteva tranquillamente attendere, ma che evidentemente procurava più soddisfazione agli agenti consegnarlo così.

Evidentemente l’intento era proprio quello di fare questo gesto ignobile e consegnare proprio lì, in terapia intensiva, il documento frutto della soddisfazione degli agenti.

Siamo sicuri, da materialisti ma molto attenti al mondo che ci circonda, che alcuni gesti, alcune azioni che vengono fatte agli altri, prima o poi ritorneranno come un boomerang, su chi le ha compiute. Ci riconosciamo in queste leggi del karma.

La macchina del fango

Da quando l’inchiesta è pubblica ed ha avuto i suoi passaggi in tribunale abbiamo assistito ad un lavoro certosino da parte della questura che ha recapitato ai giornali dossier e WhatsApp sull’inchiesta con riassuntini da far pubblicare ai soliti noti delle redazioni.

Ed ecco così che escono frasi estrapolate a caso, battute, giudizi e termini carpiti nelle conversazioni utili solo a metterci in cattiva luce.

Siamo diventati razzisti e antisemiti, sessisti e xenofobi.

Non crediamo di dover commentare l’operazione fango perché si commenta da sola, perché per noi parlano gli oltre 25 anni di lotte dalla parte di chi vive le ingiustizie che proprio chi ascolta le telefonate e le vaglia, difende con il suo lavoro.

Sarà un poliziotto a dover giudicare noi sui temi di razza? O un magistrato che giudica se e quanto una donna era provocante nel caso di di un abuso? O un qualsiasi politico che si gira dall’altra parte quando una famiglia vive in macchina perché senza casa?

Conosciamo il metodo della macchina del fango, ma lo ribadiamo: per noi parla la nostra storia che non può essere riscritta sui fascicoli d’indagine.

L’ennesima forzatura?

Uno degli obiettivi di questa inchiesta era anche quello di colpire il centro sociale Askatasuna come struttura vera e propria. Disporre il sequestro o lo sgombero come già fatto per l’altra inchiesta per “associazione sovversiva” compiuta dal capo della digos Ambra.

Siccome vede associazioni sovversive ovunque, usa lo stesso metodo che evidentemente pensa che gli porti bene per la strada verso la promozione.

Con la prima bocciatura del gip questo risultato non l’ha portato a casa, e ora con la riformulazione del reato, ritornerà alla carica, magari coinvolgendo la politica, tentando uno sgombero.

Non sappiamo predire il futuro, ma sappiamo quanto astio e frustrazione ci sia in campo, pertanto non possiamo che prendere in considerazione ogni evenienza, non lasciando nulla per intentato.

Che lo vogliano o no l’esperienza di Askatasuna rappresenta, insieme ad altri percorsi, il sentire collettivo di un pezzo di città che ha diritto a far sentire la propria voce, a fare politica esattamente come tutti gli altri. In molti ci hanno detto che non c’è Torino senza Askatasuna, noi crediamo di essere i figli e le figlie di questa città gonfia di bellezza e contraddizioni che vogliamo contribuire a cambiare perché non lasci indietro più nessuno.

Difendere l’Askatasuna (che vuol dire libertà in lingua basca) significa difendere un pensiero, un qualcosa di tutti e tutte. Uno spazio sociale che rappresenta non solo la storia in questa città, ma un futuro diverso per nuove generazioni pronte a riprendersi il futuro.

Difendere l’Askatasuna non è una cosa che compete solo a noi, perché la libertà o è collettiva o non è.

Difendere l’Askatasuna non è una cosa che compete solo a noi, perché la libertà o è collettiva o non è.

Conferenza Stampa di Askatasuna sulle accuse di associazione a delinquere

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