I ministeri dell’Interno e della Difesa si sono costituiti parte civile nell’ambito del processo contro i militanti del centro sociale torinese Askatasuna (particolarmente attivo nelle proteste contro la TAV in Val di Susa), in quanto la prolungata esposizione ai gas lacrimogeni utilizzati per sedare le proteste avrebbe comportato conseguenze negative per la salute delle forze dell’ordine intervenute. Lo Stato chiede quindi che gli sia riconosciuto un risarcimento per via del fatto che gli stessi strumenti messi a disposizione degli agenti sono dannosi per la loro salute, facendone implicitamente pubblica ammissione in aula e nonostante il loro massiccio utilizzo venga tollerato al fine di sedare le proteste.
«La frase che è stata pronunciata dall’Avvocatura dello Stato è stata all’incirca questa: ‘Sono state obbligate le forze dell’ordine per molte volte, per molto tempo e in maniera ingente a sottostare in situazioni di disagio sotto i lacrimogeni‘» ha spiegato a L’Indipendente Nicoletta Salvi, membro del comitato Mamme in Piazza per la Libertà di Dissenso e presente alla prima udienza del processo contro il centro sociale Askatasuna. Per questo motivo ai militanti del centro sociale coinvolti nel procedimento viene chiesto un risarcimento, la cui entità non è ancora stata definita. Va notato come questa dichiarazione contenga una prima affermazione implicita: lo Stato ha dotato gli agenti di strumenti potenzialmente nocivi per la salute (di chiunque ne venga a contatto), ma non di equipaggiamenti adatti per la protezione quantomeno degli agenti stessi.
In secondo luogo, tali affermazioni confermano la piena consapevolezza da parte degli organi preposti alla tutela dell’ordine pubblico dell’estrema tossicità dei mezzi utilizzati per disperdere le proteste e dei quali viene fatto massiccio uso, in particolare nel contesto della Val di Susa. I gas lacrimogeni sono infatti classificati come armi chimiche ed il loro utilizzo è vietato persino nei contesti di guerra, come sancito dalla Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche siglata a Parigi nel 1993 e ratificata dall’Italia nel 1995. Tali gas contengono infatti un composto comunemente noto con la sigla CS, che può comportare danni anche gravi a diversi organi, come polmoni, cuore e fegato. Nonostante ciò, ne viene tollerato il massiccio utilizzo da parte delle forze di polizia al fine di sedare le proteste: nella sola giornata del 3 luglio 2001, in occasione delle proteste contro il G8 di Genova, ne furono lanciati 4357.
Le contraddizioni emerse dall’affermazione dell’Avvocatura dello Stato aprono a importanti e più ampi dilemmi sulla gestione della piazza, tanto nel contesto torinese e della Val di Susa come nel resto d’Italia: si vedrà con l’esito del processo come lo Stato intenda risponderne.
[di Valeria Casolaro]